Le ragazze cagliaritane (che) se la tirano.

Oggi è venuto fuori che ho degli amici sfigati. Perché loro, come me, condividono la sventura di essere sempre andati alla serate più brutte e essersi sempre persi le più belle. Mi sembra però che, al di là dei miei amici, sia una cosa abbastanza diffusa: guarda, ci dovevi essere ieri, minchia troppo figo, accompagnato dalla controparte: oggi proprio brutto, peccato non ci fossi la settimana scorsa. Che fossero gli anni del “chiaro”, o gli anni del “in piena”, il motivetto è ricorrente. L’importante è, chiaro, che ci siano poi le foto a testimoniare che eravamo in piena.

Su questi concetti e su quelli del vaffanculo sulla fronte ho già scritto: è un problema culturale non so se tutto cagliaritano, ma che segna profondamente la realtà della nostra città. C’è chi l’ha sempre detto — confondendo i suoi alibi e le di lei ragioni — che le ragazze se la tirano, dal vernacolare «fiore, ti posso cogliere — no — e inza’ siccarì», al «mì che non ce l’hai d’oro», allo sfogo, sincero, del «quella se la tira troppo». È una convinzione diffusa quindi: le ragazze cagliaritane se la tirano. Oggi, vorrei però spezzare una lancia in loro favore e dire che non è colpa loro ma che, appunto, è un problema culturale.

Voi lettori di mondogaggio, che non siete gente pagu bessia, avrete sicuramente notato che non va ovunque così. È molto semplice, ad esempio, conoscere una ragazza sudafricana. Basta avere un alcolico in mano e dire ciao. È altrettanto facile conoscere un’americana, con una conversazione che inizia con «Ciao, sono X, quest’anno ho fatturato Y. E tu?». La vita mondana cagliaritana è invece caratterizzata da quella che chiamo la sindrome della Fortezza Bastiani. Ovvero (ma saltate pure, siete persone colte e lo avete già capito) l’idea che qualcosa prima o poi arriverà, basta aspettarla. Quindi i locali, con la serata organizzata ecc., si riempiono di persone che si guardano e… aspettano. Succede anche in discoteca, così mi dicono, soprattutto da quando esiste il tavolo. Schiere di persone che guardano e aspettano che accada qualcosa. Conoscerò oggi la persona della mia vita? Magari no. Conoscerò qualcuno? Quasi sicuramente no. Non so se sia retaggio della titolomania italiana, l’idea del tu-non-sai-chi-sono-io, che fa credere che sì, insomma, non è che conosco gente così. Siamo però al paradosso: si esce dove c’è gente, anzi perché c’è gente, ma non la si conosce se non — ovviamente — grazie all’intermediario. La cosa più ironica è che poi magari, quando ci si conosce le frasi sono anche del tipo «mi diverto un sacco con te», pur nella consapevolezza che «non avrei mai parlato con te se non ci avesse presentato qualcuno».

Perché nego allora che le ragazze cagliaritane se la tirino? Perché la colpa è anche dei ragazzi. Nella Fortezza Bastiani, gli amici delle ragazze corrono subito a proteggere la malcapitata che si trova, non sia mai!, a parlare con uno sconosciuto. Manca, insomma, quella solidarietà che si manifesta nella sua più alta forma in un negozio di abiti da donna: quando gli sguardi di due ragazzi/accompagnatori si incrociano e sembrano dire «ti capisco, sono con te, tieni duro».

Ecco quindi che, a discapito dei trionfanti proclami, e della dichiarata voglia-di-conoscere-gente-nuova, al massimo si potrà conoscere una persona del proprio sesso. Quando ero più mondano l’unica persona che mi diede la possibilità di dimostrargli che sono uno per bene era un ragazzo allo Zelig (sì sì, prima che diventasse monopolio dei burdi). Mi chiese se il giorno dopo sarei andato a pescare con lui e, Dio lo benedica, poi venni a sapere che mi aspettò davvero.

Chiosa finale. Mi dicono che non faccio altro che lamentarmi, sarà che invecchio e quindi mi trovo anche a citare il Deserto dei tartari, che a 15 anni consideravo un nemico giurato. Ma, con Prezzolini, credo più in un cambiamento culturale che politico: quindi questo fine settimana date una possibilità al ragazzo che vi vuole conoscere, vedrete che è una persona per bene e, come minimo, sarà l’inizio di una bellissima amicizia.

2 pensieri su “Le ragazze cagliaritane (che) se la tirano.

  1. Ed e’ subito sera – no, dico, ogni volta che leggo i tuoi monologhi mi trovo ri-catapultata immediatamente in quella realta’, ormai distante da me un emisfero sia geograficamente che anagraficamente. Eppure quello che racconti ha lo stesso effetto della macchina per il teletrasporto di star treck – immediato. E sono appunto improvvisamente in una di quelle sere che anch’io trascorrevo in attesa che accadesse qualcosa e di conoscere qualcuno. Nel mio caso speravo nell’incontro con tipi alla ‘notti bianche’ (il flim, non il racconto) e quelli che incontravo mi sembravano sempre troppo sprovveduti o troppo esasperanti. Credevo fosse stato un problema solo mio (infatti la situazione e’ migliorata una volta lasciata l’isola) pero’ a ripensarci magari i muretti a secco ce li costruiamo noi, ma solo appunto quando siamo nell’isola. Comunque grazie. Anche se l’immagine del tipo che ti apsetta (dove, in Piazza Yenne?) con la canna da pesca in mano e tu che non arrivi, e’ struggente, degna di un racconto di Brautigan.

  2. Grazie cara! Un commento davvero bello, una sorta di minipost che starebbe bene in questo blog. Continua a leggere mondogaggio, anche se la ggente sembra preferire quei blog che pensano che basti scrivere “kiagliari”.

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